venerdì 20 aprile 2012

Riflessioni sulla felicità

Alcuni  scribacchini virtuali che frequento, sempre virtualmente s'intende, hanno pensato di dedicare il mese di aprile alla felicità e allora io mi aggrego.
Personalmente mi ritengo una persona felice, anzi, gioiosa.
Il mio scopo nella vita è essere felice, è il mio obiettivo e praticamente tutte le mie scelte importanti dipendono da questo. 

Due anni fa ho lasciato un lavoro a tempo indeterminato per laurearmi. Una pazza, lo so. Tra l'altro avevo il tempo parziale (che mi era stato accordato per motivi di studio appunto), senza la riforma Gelmini sarei ancora nel mio vecchio posto di lavoro, ma grazie alla riforma delle università mi sono trovata davanti ad un bivio: lavorare o laurearsi entro i tempi massimi. Era un aut aut. Per me, che piuttosto non dormo la notte ma devo riuscire a fare tutto e non mollare mai la presa su nulla è stata una situazione durissima. Ricordo con estrema chiarezza il mio sentimento di angoscia quando a gennaio 2009 alla segreteria studenti di lettere mi dissero "entro marzo 2012, altrimenti decadi". Ricordo che piansi. Piansi a dirotto, con lacrime grosse come vasi di marmellata, dense, potenti che venivano da dentro la parte più lontana di me. Ero perduta. Tutto quello per cui mi ero sforzata tanto e avevo speso denaro e fatica stava andando in frantumi. Anzi era definitivamente sbriciolato. Al 32 di via Zamboni c'è la biblioteca di italianistica. Non so perché sono andata proprio lì, non me lo ricordo, forse dovevo consegnare un libro. Mi ricordo chiaramente di me però. Stavo seduta su una panchina del corridoio e piangevo, senza rumore. Solo lacrime. Lacrime come sangue. Uscivano dalla mia ferita a ritmo continuo e ininterrotto. E non me ne fregava niente di quelli che passavano e mi vedevano così. La mia vita era a pezzi. I miei progetti di vita definitivamente spazzati via da una leggiucola. Alcuni giorni dopo, credo qualche settimana, di ansia, dubbi, incubi di notte e di giorno ho fatto la mia scelta e ho comunicato -non senza piangere- alla mia store manager (una donna meravigliosa, capace, intelligente, bella) di volermi licenziare per finire gli studi. La mia azienda allora mi è venuta incontro di nuovo e mi ha proposto un periodo di nove mesi di aspettativa non retribuita, un periodo per pensarci su, per provare a mettermi in pari con gli esami, per staccare un attimo da quella pressione della scelta. Mi sentivo sollevata per due motivi: avevo tempo per riflettere bene sulla mia scelta e l'azienda (e le persone) con cui lavoravo mi avevano dimostrato un grande attaccamento e molta stima, il che è stato un grosso aiuto. Poi sono partita per l'Erasmus e ho deciso di non tornare in Italia a gennaio, quando scadevano i nove mesi. Ed è stata l'esperienza più entusiasmante della mia carriera scolastica. Pazzesco.
Quando sono tornata mi mancavano solo tre esami e avevo deciso che non avrei lavorato fino a che non avessi discusso la tesi. Tra fatiche e peripezie mi sono laureata a novembre 2011. Riuscire a finire e a concludere quel percorso è stato davvero significativo. (non ve la sto a dire ancora tutta, la piva della fatica, ecc ecc)

A gennaio 2012 ho cominciato a lavorare perché nel frattempo avevo capito la mia vera vocazione professionale e lo scopo a cui devo dedicare il mio lavoro: educare. Ho trovato lavoro dopo due mesi dalla laurea grazie al mio diploma delle superiori e al di fuori di ogni prospettiva lavorativa. In fondo sapevo che sarebbe andata così però, perché ho la certezza che quando si segue in maniera esatta il piano divino che è dentro di noi e voluto per e da noi, si vada via leggeri, quasi senza sforzo e senza fatica. 

Non che sia tutto facile e semplice, anzi. Ma la gioia che ho nell'affrontare il mio quotidiano, questa certezza e solidità interiore che sono il sapere e il fare ciò che è giusto e coerente con e per me, mi fanno  essere tenace nel perseguire i miei obiettivi, incurante delle critiche ingiuste e degli atteggiamenti scortesi, mi fanno apprezzare quello che ho perché è quello che voglio. La certezza di sapere dove andare permette di tenere lo sguardo alto sul percorso e gustarsi il viaggio, invece che basso nel cercare di districarsi. Il filo da seguire l'ho già trovato e devo semplicemente seguirlo. Non importa che la matassa ogni tanto si imbrogli, perché seguendo il mio filo uscirò dal nodo. 
E quindi sì, sono felice, poiché sono coerente con le mie necessità più profonde, perché quello che faccio "fuori" risponde a quello che si muove "dentro"e perché porto con gioia i dolori necessari e le fatiche delle mie giornate e delle mie relazioni. È questa la chiave della mia felicità. Ora so che aver sgretolato la vecchia vita è stato provvidenziale, un segno del destino che mi diceva chiaramente: "quello che stai facendo non va bene!! devi cambiare rotta!" e cambiato il senso di marcia della mia vita, invece che arrancare e andare contro a mille ostacoli mi sono trovata, non dico su una strada spianata, ma almeno nel senso giusto di marcia! Poi quando mi va via mezzo stipendio dal carrozziere non è che io sia proprio al massimo della contentezza, però dai, capita! :P




POSTILLA DEL GIORNO DOPO
Nel mio modo di vivere le cose e le persone rientra tantissimo la prospettiva del ringraziamento. Ringrazio per tantissime delle cose che mi succedono: 
-grazie per avermi fatto avere un piccolo incidente, ho capito che devo rallentare i ritmi
-grazie per la bella giornata
-grazie per la pioggia
-grazie per gli asparagi, drenano tantissimo
-grazie per le persone che mi amano
-grazie per le colleghe difficili, mi ispirano a essere diversa da loro
-grazie per una sorpresa
-grazie, grazie, grazie. sempre, per ogni cosa!

giovedì 12 aprile 2012

Gli altri e le altre

No ecco, è che l'altro giorno era il compleanno della mia cugina. L'ho chiamata per farle gli auguri e sapere come sta che è andata ad abitare da sola e niente. Volevo sentire un po' come se la passava.
Ovviamente è venuto fuori che "ci deve invitare" (il cuginame, inteso come suo fratello e morosa, me e moroso, cugino e cugina di secondo grado -credo terzo in realtà, ma noi siamo convinti che sia secondo e abbiamo sempre detto secondo- con relativi morosa e moroso); ma soprattutto, che già almeno è riuscita ad invitare per miracolo -per via dei tanti impegni- "le altre".

Ecco. le altre implica che c'è un'appartenenza a cui ci si riconosce e in cui si è riconosciuto essere dagli altri dentro e fuori dal gruppo. E questa cosa è una cosa potente. Anche nella piccola manifestazione di un pronome, che in realtà indefinito non è mica tanto! Perché le parole hanno una consistenza densa, che va ben al di là del suono che vibra nell'aria e della loro categoria linguistica. Ed esserne almeno in parte consapevole mi fa sentire che presto le promesse si avvereranno.

Lo so che questo è un articolo sconclusionato e sintatticamente abominevole. È giusto così.

Your,
Marina


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AH, e poi un'altra cosa. Stasera ero ad un corso di formazione per insegnanti e parlavamo del primo colloquio con i genitori, tra le domande che gli insegnanti pongono ai genitori campeggiavano:
-Con quali figure di riferimento il bambino ha avuto modo di relazionarsi per periodi lunghi? Come ha reagito alla separazione dalla madre?
- Ha frequentato il nido? E come ha reagito alla separazione dalla madre?


Al che io ho alzato la mia bella manina e ho chiesto:


" E la separazione dal padre? è un genitore anche lui. Il bambino non si separa solo dalla madre, anche dal papà e spesso con modalità e reazioni diverse. Tanto più che molte famiglie sono divise o che ci sono anche alcuni "ragazzi-padre"."


Ecco, quando la coordinatrice pedagogica mi ha detto "effettivamente è vero, anzi grazie per questa riflessione" mi sono sentita molto vicina a Fefo e a Amedeo, magari prima l'avrei pensato solo ma stavolta l'ho anche detto davanti a 20 persone e (forse) instillato in loro un seme di riflessione. E che sono stata brava e ho fatto una domanda intelligente posso anche dirmelo da sola per una volta! Giusto?


Love Love
M.

mercoledì 4 aprile 2012

Astinenza forzata da acquisti

Vedo che sul web circolano tante esperienze di rifiuto volontario all'acquisto di beni e merci. L'ultimo nell'ordine è a questo link. Io questa esperienza l'ho già fatta e la sto continuando a fare da almeno... fatemi pensare... giugno 2010!


Tanto eh?
Quindi mi sono detta che forse è il caso di fare una riflessione scritta e di condividere questa esperienza.

A giugno del 2010 ho deciso che - siccome non avevo un lavoro e non lo avrei avuto a breve e visto che ero appena tornata da nove mesi di Erasmus dove avevo (giustamente) dilapidato i miei risparmi- era il caso di smettere di fare acquisti. Siccome io per carattere non sono capace di trovare da sola le mezze misure mi sono detta che per un periodo di tre mesi non avrei comprato nulla che non fosse cibo o medicine.

I primi momenti sono stati un po' difficili, era anche periodo di saldi. Ho iniziato ad evitare di andare nei centri commerciali o in giro per negozi, preferendo a queste attività cose come  fare un giro al mare, una passeggiata coi cani, bere un tè con le amiche... Dopo le prime diciamo tre settimane invece tutto si è mosso in modo più spontaneo e io sono iniziata ad essere molto più critica verso me stessa. Davanti ad una bella vetrina il pensiero non era più "Oh che peccato, lo vorrei comprare ma non posso" ma "Bello! Mi piace ma non mi serve". Perché, believe or not : il 99,99% di quello che compriamo non ci serve. Mi sono resa conto che per quello che mi riguarda in prima persona, negli gli acquisti che facevo le motivazioni alla base erano:


  • il desiderio di avere qualcosa di nuovo (a tutti i costi, avrei capito dopo, perché poi non lo so ancora);
  • la volontà di prendere un oggetto che soddisfacesse meglio le mie esigenze di qualcosa che già possedevo;
  • lo spirito di emulazione: se compri qualcosa tu allora compro qualcosa anch'io;
  • la percezione post-acquisto di un sottile senso di rassicurazione: compro quindi esisto e faccio parte della società.
ovviamente queste sono considerazioni e ragionamenti a cui sono arrivata soltanto dopo (a volte molto dopo); con il tempo e l'allenamento al non-acquisto. 

Il mio periodo di astinenza totale da acquisti che mi sono imposta era dal primo giugno 2010 al primo settembre 2010.
Mentre maturavo la decisione di fare questo periodo di "depurazione" mi immaginavo che alla scadenza del periodo di astinenza da acquisti, cioè il primo giorno di settembre, mi sarei recata in tutti i negozi dove avevo visto qualcosa di interessante a comprare quello che non mi ero procurata prima. Invece le cose sono andate del tutto diversamente: non solo non mi sono fiondata nei negozi di tutta la Romagna assetata di acquisti, ma mi sono addirittura dovuta forzare per andare a comprare qualcosa per vedere che effetto mi avrebbe fatto. Verso il 4-5 settembre ho raccolto le forze e pochi spiccioli e sono andata a comprare in una profumeria di bassa fascia un mascara (che era l'unica cosa che mi "serviva" visto che il vecchio era finito e non ne ho mai più d'uno aperti); intanto che ero lì ho preso anche due rossetti visto che non ne avevo più nessuno. Ma nessun brivido ha attraversato le mie mani e la mia mente, nessuna emozione, anzi mi era quasi spiaciuto spendere dei soldi in qualcosa di poco utile (soprattutto per quel che riguarda i rossetti). Una ventina di euro in tutto, mica chissà che cifra. Ma a me non era piaciuta come esperienza
Pensa che ti ripensa sulla mia delusione una ovvia deduzione: abbiamo già tutto quello che ci serve. Ovvio? mica tanto! A volte bisogna un po' usare la fantasia o avere il tempo di aspettare che la soluzione a ciò che ci serve arrivi ma vi garantisco che quello che serve veramente e anche tutto quello che non serve già ce lo abbiamo.
Di qui il passo a capire che viviamo nell'opulenza, tutti noi, nessuno escluso è stato breve. (argomento complicato, farò un articolo a parte)

Ma io allora? Stavo diventando un'aliena? Un individuo astratto dalla società? Una persona isolata in una realtà tutta sua?
No. Stavo iniziando il percorso che mi sta portando oggi a diventare una consumatrice consapevole.
Ora di fronte ad un nuovo acquisto ci sono domande precise che mi pongo:
  1. Mi serve?
  2. Mi serve davvero?
  3. Per fare cosa?
  4. Perché?
  5. Sono sicura che a casa non ho già una soluzione a questa necessità? o qualcosa di simile?
  6. Non posso proprio prescindere da questo acquisto?
  7. Potrei trovarlo usato?
  8. Potrei spendere meno e avere qualcosa che mi soddisfi egualmente?
  9. Potrei farmelo da me?
  10. Perché lo desidero così tanto?
  11. Posso aspettare a comprarlo per vedere se mi serve davvero?
  12. Ho denaro a sufficienza per questa spesa?
  13. Questo prodotto è testato su animali o è prodotto da aziende che in qualche modo sono connesse ai test sugli animali?
  14. Esiste la versione biologica o biodinamica di questo prodotto?
  15. Esiste una versione cruelty-free?
  16. Chi arricchisco con questo acquisto? Una persona della mia comunità o un indefinita catena di negozi? (la polemica sul fatto che le grandi catene multinazionali non pagano l'IVA ve la risparmio)
  17. Questo prodotto esiste artigianale o a chilometri zero?
  18. Esiste un prodotto simile che abbia inquinato meno nel suo processo di produzione e commercializzazione?
  19. Sono disposta a pagare il costo "energetico" e ambientale di questo oggetto e rendermene responsabile con il mio acquisto?
  20. Vale quello che costa?
  21. è solo per farmi un regalo e soddisfare un mio vezzo?
  22. è un auto-regalo? per cosa? me lo merito? posso aspettare? posso darmi un obiettivo per "meritarmelo"?
  23. Ne sono consapevole?
  24. è quello che voglio davvero o solo qualcosa che ci assomiglia ma non ha tutte le caratteristiche per soddisfarmi?
  25. Sono sicura che lo voglio comprare?

In merito al penultimo punto vorrei solo aprire una parentesi: mi sono resa conto che molti miei acquisti erano il risultato del tentativo di soddisfare un desiderio (ben chiaro nella mia mente): volevo possedere un determinato oggetto, fatto in un preciso modo e in qualche modo avevo trovato qualcosa che si avvicinava a quell'oggetto ideale. Ma che al tempo stesso non mi soddisfaceva del tutto. Il risultato era quindi che il mio desiderio restava irrealizzato e mi continuava a spingere verso nuovi acquisti. Ad esempio: sono due anni che cerco una borsa fatta in un determinato modo e molte sono stata sul punto di comprarne una che era vicina al mio modello ideale; sono stata sul punto ma visto che non mi soddisfaceva completamente non l'ho presa. Perché alla fine avrei accumulato borse che mi soddisfacevano solo in parte e che si sarebbero sommate alle già troppo numerose borse che ho. Se devo comprarne una deve essere quella che desidero al cento per cento, niente di meno. Può sembrare arrogante metterla su questo piano però credo che ognuno di noi, me compresa, sia libero di decidere se e come spendere denaro e io non lo spendo se non per qualcosa che mi soddisfa in tutto e per tutto.

Sia ben chiaro non è che non io non compri più nulla per vezzo, ma quando lo faccio almeno ne sono consapevole e lo faccio per scelta, non guidata da sottili meccanismi di compulsione all'acquisto. Non mi sento completamente immune alle strategie marketing ma per lo meno sento di aver messo un buon filtro. Non mi sento diversa perché a 28 anni compro se posso usato (e lo regalerei pure dell'usato, ma molte persone si sentono offese nel ricevere un regalo di compleanno preso al mercatino- allora regalo le mie marmellate).  Non mi vergogno a chiedere a chi mi vuole fare un regalo esattamente quello che desidero (di solito un massaggio o un trattamento e estetico, a meno che non ci sia qualcosa che mi piace che a comprarla coi miei soldi mi sentirei in colpa) e non mi vergogno nemmeno a chiedere di cambiare un regalo se non mi piace. D'altronde se una persona mi conosce bene e mi è davvero vicina il regalo non lo sbaglia, se si sbaglia o non mi conosce bene e allora io mi devo far conoscere meglio, o non gliene importa e quindi anche se cambio il regalo non cambia nulla. Ma sto andando fuori tema ed è meglio chiudere.

Va bè, insomma, io sono quasi due anni che compro poco e mirato. Perché non accumulare oggetti permette di avere meno cose (rifiuti) da smaltire poi e più ordine e linearità nel presente. è come non ingrassare e restare magri sempre, pur concedendosi qualche golosità di tanto in tanto :)